lunedì 28 gennaio 2013

La nuova disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, lavori edili e appalti pubblici


La nuova normativa sui ritardi nei pagamento (D. Lgs. n. 192/2012) è entrata in vigore lo scorso 1° gennaio 2013 e si applica a tutte le transazioni commerciali concluse da quella data.
Cerchiamo di fare un po' di chiarezza sulle norme di legge che modificano quelle del D. L.gs. n. 231/2002.
Innanzitutto, cosa si intende per transazioni commerciali?
Sono i contratti avente ad oggetto la consegna di merci e/o la prestazione di servizi conclusi fra imprenditori o fra imprenditori e la Pubblica Amministrazione. La norma (art. 1 comma 1) precisa che sono imprenditori anche coloro che esercitano una libera professione.
La norma parla esclusivamente di "merci" e non di beni, per cui il dato testuale escluderebbe dall'applicazione del D. Lgs. n. 231/2002 i beni immateriali, come ad es. marchi e brevetti.
Qual è la nuova definizione di Pubblica Amministrazione?
Il Legislatore modifica la precedente e più ampia definizione di Pubblica Amministrazione recependo quella che il Codice dei Contratti Pubblici (art. 3, comma 25, D. Lgs. n. 163/2006) detta per le "amministrazioni aggiudicatrici", ossia: "le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti". Le incertezze interpretative che riguardano, in alcuni casi, il concetto di "amministrazione aggiudicatrice" si trasmettono anche a questa norma.
La nuova normativa si applica anche alle imprese edili ed ai lavori pubblici?
Come chiarito nella circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 23 gennaio 2013, la normativa è applicabile anche alle imprese edili e ai lavori pubblici, a patto che riguardino lavori assegnati da "amministrazioni aggiudicatrici".
Vi è un solo tipo di interessi moratori?
La norma distingue fra "interessi moratori", che sono quelli fissati dalle parti nel contratto e gli "interessi legali di mora" che si applicano per legge ove le parti non abbiano disposto diversamente.
Come sono calcolati gli interessi legali di mora?
Gli interessi legali di mora sono calcolati su base giornaliera al tasso di interesse applicato dalla BCE alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento (definito "tasso di riferimento"), maggiorato dell'8%. In precedenza, l'aumento rispetto al tasso di riferimento era del 7%.
Come si può conoscere il tasso di riferimento?
Il tasso di riferimento viene comunicato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze con cadenza semestrale, ossia dopo il 1° gennaio e dopo il 1° luglio, pubblicandolo sulla Gazzetta Ufficiale.
Il debito deve rimborsare al creditore i costi sostenuti per il recupero del proprio credito?
L'art. 6 del D. Lgs. n. 231/2002 è stato modificato dalla nuova legge, prevedendo che il credito "ha diritto al recupero della somme non tempestivamente corrisposte" . Nella nuova formulazione è venuto meno il riferimento alle tariffe professionali forensi in materia stragiudiziale, ora abolite, ed è stato fissato un risarcimento del danno forfettario (a prescindere, quindi, dall'entità del credito) pari a 40 Euro, sala la prova del maggior danno che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito, quindi anche le spese legali.
Da quanto decorrono gli interessi di mora? E' necessaria la costituzione in mora del debitore?
Gli interessi moratori decorrono senza che sia necessaria la costituzione in moda del debitore, dai seguenti momenti:
a) 30 giorni dalla data di ricevimento, da parte del debitore, della fattura o di altra richiesta di pagamento dal contenuto equivalente;
b) se non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta di cui al punto a), 30 giorni dal ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi;
c) in ogni caso, il termine di 30 giorni decorre dal ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, se il creditore ha inviato prima la fattura o la richiesta di pagamento;
d) 30 giorni dalla data di accettazione o della verifica di merci o servizi previste dalla legge o dal contratto, qualora la fattura o la richiesta di pagamento siano ricevute dal debitore prima di tale data.
Possono essere indicati termini diversi?
Tra privati possono essere inseriti termini maggiori, salvo che "gravemente iniqui per il creditore". 
Tra privati e P.A. i termini sopra indicato non possono essere superiori a 60 giorni. Sono comunque di 60 giorni, in deroga a quelli previsti dall'art. 2 D. Lgs. n . 231/2002 quanto si tratta a) di imprese pubbliche tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza ( D. Lgs. n. 333/2003) o b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria.
Cosa succede se il contratto (o il bando di gara) prevedono termini per la verifica di merci o servizi maggiori?
L'art. 4 del D. Lgs. n. 231/2002 (come modificato dalla nuova Legge) prevede che "quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto, essa non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data di consegna della merce o dalla prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalla parti e previsto nella documentazione di gara e purchè ciò non sia gravemente iniquo."
Le clausole contrattuali che siano difformi dalla normativa sono valide?
Occorre considerare caso per caso. La legge prevede dei casi in cui le clausole difformi sono nulle, ossia si considerano come non inserite e vengano sostituite automaticamente da quelle di legge. In particolare, sono nulle le clausole "gravemente inique in danno al creditore". 
La normativa elenca alcuni casi di "grave iniquità": le clausole che escludono gli interessi di mora o il risarcimento dei costi di recupero. Si noti che la norma parla di "costi di recupero" e non di risarcimento del danno, peraltro, nel caso in cui venga escluso del tutto il risarcimento del danno, si potrà applicare il principio giuridico che sancisce l'impossibilità di rinunciare ad un diritto prima che sia sorto, così come quello che prevede la nullità della clausola contrattuale che esclusa il risarcimento del danno causato dal debitore con dolo o colpa grave.
E', infine, nulla la clausola che ha ad oggetto la predeterminazione o la modifica della data di ricevimento della fattura, se il debitore è la P.A.
Come si coordina la nuova normativa con quella prevista per gli appalti pubblici?
Lo chiarisce la circolare citata del Ministero dello Sviluppo Economico:
a) Il termine previsto dall'art. 143, comma 1, secondo periodo, del Regolamento del Codice Contratti Pubblici (D.P.R. n. 207/2010), per il pagamento delle rate di acconto, resta in vigore, in quanto prevede un termine non superiore a 30 giorni.
b) Il termine di 45 giorni previsto dall'art. 143, comma 1, primo periodo, del Regolamento, relativo all'emissione del certificato di pagamento dalla maturazione del SAL, è ridotto a 30 giorni, salvo che il bando non preveda un termine maggiore che non potrà comunque essere superiore a 45 giorni.
c) Il termine di 90 giorni previsto dall'art. 143, comma 2 del Regolamento e dall'art. 141 comma 9 del Codice Contratti Pubblici, sarà ridotto a 30 giorni, salvo che il bando non preveda un termine maggiore che non potrà comunque essere superiore a 90 giorni, ricorrendo i presupposti dell'art. 4, comma 2, del D. Lgs. n. 231/2002.
c) Restano in vigore il termine di 6 mesi, elevabile fino ad un anno per l'emissione del certificato di collaudo (art. 141, comma 1, Codice Contratti Pubblici) e quello di 3 mesi per l'emissione del certificato di regolare esecuzione, se espressamente concordati fra le parti e risultanti dalla documentazione di gara, come previsto dall'art. 4, comma 6, D. Lgs. n. 231/2002 modificato.
Cosa si può fare se il debitore ha pagato il capitale ma non gli interessi moratori?
Se il debitore è un imprenditore privato, il creditore potrà agire giudizialmente e ottenere un decreto ingiuntivo che ordini al debito il pagamento degli interessi non versati. 

mercoledì 5 dicembre 2012

Demolizione e ricostruzione in pendenza di procedimento di condono


In una recentissima sentenza del TAR Puglia (la n. 2004 del 28.11.2012), la giurisprudenza si pronuncia su una fattispecie interessante: un Comune annulla la richiesta di condono presentata da un proprietario in quanto la ricorrente avrebbe demolito e poi ricostruito ex novo l’immobile da condonare con variazione della superficie e del volume. Secondo la tesi della deducente, invece, era stato sostituito il solaio, erano stati rinforzati i muri perimetrali e demoliti i tramezzi interni, mediante opere tutte riconducibili alla manutenzione straordinaria.
Il TAR, nella sentenza indicata, chiarisce che in pendenza di procedimento di condono, gli unici interventi edilizi consentiti sul manufatto sono quelli diretti a garantirne l'integrità e la conservazione del medesimo. Pertanto,tali interventi di regola non possono spingersi sino alla demolizione e ricostruzione (né totale né parziale), salvo che essi risultino in qualche modo indispensabili ma, in tal caso, l'interessato dovrà necessariamente interloquire preventivamente con l'amministrazione al fine di consentire a quest'ultima di stabilire quali siano i caratteri e le esatte dimensioni del manufatto abusivo al fine di verificarne la condonabilità e di accertare che la successiva ricostruzione sia effettivamente fedele al manufatto abusivo preesistente (T.A.R. Napoli, Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2000, T.A.R. Liguria, Sez. I, 17 febbraio 2010, n. 603). 
Il Consiglio di Stato si era pronunciato in una fattispecie analoga statuendo che: quando la demolizione e la successiva ricostruzione di un manufatto non danno luogo alla fedele riedificazione del precedente manufatto per sagoma, superficie e volume, non si è in presenza di ristrutturazione edilizia, bensì di nuova costruzione, per cui è necessario il rilascio di apposito titolo edilizio. In tal caso è legittima l’archiviazione della domanda di condono relativa al primo fabbricato, essendo effettivamente venuta meno la stessa opera per cui si riferiva la richiesta (Consiglio Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6550).
Secondo una precedente sentenza dello stesso T.A.R., la demolizione e ricostruzione in pendenza di condono sarebbero, invece, possibili, ove non si proceda ad alcuna variazione di sagoma, superficie e volume, rispetto all'edificio preesistente (TAR Puglia, Bari, Sez. II, 7 aprile 2003 n. 1630).

mercoledì 7 novembre 2012

Crisi del costruttore ed escussione della fideiussione


Mala tempora currunt per i costruttori. La crisi del settore è gravissima e ogni giorno aumenta il numero delle società costruttrici in stato di insolvenza. Tale situazione comporta inevitabilmente gravi danni anche per gli acquirenti degli immobili, in particolare di quelli in corso di costruzione.
Proprio per tutelare gli acquirenti di immobili da costruire, il Legislatore, con il D. Lgs. n. 122/2005, ha dettato alcune disposizioni la cui ratio è evitare la perdita di quanto versato a titolo di acconto del prezzo della compravendita, nel caso di crisi del costruttore-venditore. 
In particolare, l'art. 3 del citato decreto prevede l'obbligo per il venditore di consegnare all'acquirente una fideiussione per un importo pari al corrispettivo ricevuto da quest'ultimo. 

Quando si può escutere la fideiussione?
La fideiussione si può escutere in caso di crisi del costruttore, che si verifica nelle seguenti ipotesi, elencate nell'art. 3 comma 2 del D. Lgs. n. 122/2005:
a) trascrizione del pignoramento relativo all'immobile oggetto del contratto (da verificarsi presso la conservatoria dei registri immobiliare presso l'Agenzia del Territorio);
b) pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento o del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa (che si applica, tra l'altro, anche alle cooperative)
c) presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
d) pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza o, se anteriore, del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa o l'amministrazione straordinaria.
L'escussione può essere richiesta a partire dalla data in cui si è verificata la situazione di crisi.

Come si escute la fideiussione?
La richiesta di escussione deve essere avanzata tramite l'invio al domicilio del fideiussore (banca/impresa di assicurazioni) di una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, alla quale deve essere allegata documentazione (anche in copia fotostatica) idonea ad attestare il pagamento delle somme di cui si chiede la restituzione.

Nel caso di pignoramento (lett. a) l'acquirente, prima o contestualmente alla richiesta di escussione, dovrà comunicare al costruttore che intende recedere dal contratto.

Come avviene il pagamento?
Il fideiussore dovrà procedere al pagamento delle somme garantite entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta.


Il fideiussore può opporre eccezioni all'acquirente?
Il contratto di garanzia, secondo quanto previsto dall'art. 3 del D. Lgs. n. 122/2005, deve prevedere che il fideiussore (solitamente una banca o un'impresa di assicurazioni) rinunci al beneficio della presentiva escussione, cioè debba pagare immediatamente la somma richiesta dall'acquirente-beneficiario, senza che quest'ultimo debba prima agire contro il costruttore. Inoltre il garante non può opporre eccezioni inerenti al rapporto garantito, inclusa quella del mancato pagamento del premio.


Gli organi delle procedure concorsuali (es. il curatore) possono opporsi all'escussione?
Nel caso in cui l'escussione sia conseguenza di uno degli stati di crisi indicati alle lettere b), c) e d), a prevalere è chi, fra l'acquirente e l'organo della procedura concorsuale, si attivi per primo. Infatti, se l'organo della procedura comunica all'acquirente la propria intenzione di proseguire nel rapporto contrattuale, prima che l'acquirente abbia inviato la richiesta di escussione al domicilio del fideiussore, quest'ultimo non potrà più chiedere il pagamento al garante.


Cosa succede al contratto preliminare una volta che l'acquirente ha escusso la fideiussione?
Una volta che l'acquirente ha escusso la fideiussione ed ha, quindi, ottenuto il rimborso di quanto versato al venditore-costruttore il contratto è sciolto e privo di effetti.


giovedì 4 ottobre 2012

Lottizzazione abusiva in presenza di divisione ereditaria: le indicazioni del Consiglio di Stato


L'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina la fattispecie della lottizzazione abusiva, stabilisce al comma 10 che le disposizioni contenute nella norma, non si applicano "alle divisioni ereditare, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù".
Quando, tuttavia, la divisione ereditaria può integrare l'illecito di lottizzazione abusiva? 
Lo chiarisce il Consiglio di Stato nella recente sentenza del 18.09.2012 n. 4947.
I fatti. 
Cinque eredi procedono al frazionamento di un'unica particella della superficie originaria di mq. 10.800 in 7 lotti, di superficie inferiore al minimo consentito dalle N.T.A. di P.R.G. per la zona di destinazione. 
Il Comune di Roma, con proprio provvedimento, ingiunge la sospensione della lottizzazione abusiva, l'interruzione delle opere, il divieto di disporre per atto fra vivi delle aree, l'acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale con immissione in possesso e la demolizione d'ufficio con trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
Gli eredi presentano ricorso contro il provvedimento del Comune di Roma avanti al T.A.R.del Lazio, che con la sentenza n. 05507/2007 lo respinge. I soccombenti decidono di appellare la sentenza.
Il Consiglio di Stato preliminarmente chiarisce che l'accertamento della fattispecie relativa alla c.d. lottizzazione negoziale (che può configurarsi anche nei casi previsti dal comma 10 dell'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001) implica la verifica degli elementi indicati dall'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, dai quali è possibile desumere chiaramente la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti. In tali ambiti, se dall'attività negoziale emerge chiaramente tale scopo, non è necessario verificare la contemporanea esistenza di tutti gli indici rilevatori indicati dall'art. 30.
Il Consiglio di Stato dichiara, quindi, infondato l'appello promosso dagli eredi, ritenendo sussistente la lottizzazione abusiva, in quanto, la situazione esaminata appare del tutto "inidonea ad evidenziare un semplice frazionamento a fine ereditari", essendo invece indice di "un'inequivoca volontà dei ricorrenti di destinare l'area agricola ad edificazione e di lucrare sui due lotti in esubero". 
Quest'ultimo elemento (la presenza di un numero di lotti superiore a quello degli eredi) è stato considerato dal Consiglio di Stato come un elemento chiave per ritenere integrata la fattispecie di lottizzazione abusiva.
Gli ulteriori elementi che hanno indotto il Consiglio a confermare la presenza della lottizzazione abusiva sono:
- la presenza di opere di urbanizzazione;
- la dimensione dei lotti, inferiore al minimo richiesto dalle N.T.A. di P.R.G. per la zona di destinazione;
- il frazionamento di un'area agricola, posta in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.
Occorre, infine, tenere in considerazione che il Consiglio ha ritenuto irrilevante la notizia di archiviazione del procedimento penale a carico degli appellanti, in base al principio della separazione fra i processi.